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Alfio Recupero

Festa di Sant’Agata a 

 Catania

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Voglio raccontarvi la storia di questa giovane catanese, vissuta in un passato lontano ma, ancora capace di accendere di vero fuoco d’amore la passione e ,l’animo dei cittadini catanesi che, la festeggiano ogni anno per oltre due mesi, dall’inizio dell’anno e durante il mese di Febbraio periodo durante il quale la città si accende. si illumina.

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Oggi 28 gennaio, ore 20.00, l’emozionante  appuntamento dell’omaggio floreale da parte dei Vigili del Fuoco in Piazza Duomo.

omaggio vigili a Sant’Agata

Nella corte del Palazzo degli Elefanti, il Sindaco accenderà la lampada votiva a S. Agata e sarà consegnato il premio ” La Candelora d’oro” che, quest’anno sarà assegnata ai Volontari che rappresentano un alto esempio di solidarietà e di impegno sociale, negli ultimi tre anni questo gruppo sempre più ampio, determinato e professionale di donne e uomini, con dedizione, coraggio, spirito di sacrificio, rinunciando al proprio tempo libero, spesso in condizioni climatiche avverse, ha sostenuto Catania e i catanesi in tutte le emergenze vissute.

  • I Festeggiamenti del 3 Febbraio

I festeggiamenti in onore di Sant’Agata cominciano sin dalla prima domenica di gennaio con la messa solenne nel Santuario del Santo Carcere, e proseguono tutte le domeniche del mese.

A mezzogiorno dodici colpi dodici colpi a cannone annunziano alla città il grande evento del 5 Febbraio.

Il sindaco consegna al prelato l’anello con l’effige della Patrona, che l’arcivescovo porterà fino all’ottava della festa.

A mezzogiorno,mentre in cielo rimbombano le dodici cannonate, tutti si ritrovano nella Chiesa di Sant’Agata alla Fornace per la processione dell’offerta della cera a Sant’Agata.

Si può orgogliosamente dire che è una delle processioni più lunghe al mondo, a cui partecipano le varie confraternite,i circoli agatini ,i rappresentanti di categorie e di enti,il clero, l’Arcivescovo,autorità civili e militari,i gonfaloni di Comune,Provincia regionale di Catania,Università, dei Comuni dell’Arcidiocesi e ancora, le due carrozze del Senato catanese e infine , le undici candelore.

Una folla straripante fin dal mattino fa ala a tutte le manifestazioni, tra folklore e tradizione. La sera, alle 20, dopo gli inni tradizionali in onore della Santa, giunge il momento più atteso della giornata: lo spettacolo dei fuochi pirotecnici, tutti con il naso all’insù per scrutare il cielo che si illumina per decine e decine di minuti di disegni e cascate di fuochi incredibili e suggestivi al suono di musiche classiche e operistiche, in particolare è eseguita la sinfonia di Norma  del nostro Vincenzo Bellini.

fuochi Sant’Agata piazza Duomo

  • I festeggiamenti del 4 Febbraio:

Neppure il tempo di un riposo notturno soddisfacente che subito di nuovo drittin quella che è ritenuta la notte bianca e più lunga dei catanesi, per essere ai primi posti nella Basilica Cattedrale allorquando le sacre reliquie di Sant’Agata lasceranno la cameretta,in cui sono state custodite per un anno,per essere poste sul trono argenteo al centro dell’abside della navata centrale tra canti, sventolio di fazzoletti bianchi,occhi luccicanti di fede,di devozioni e di emozioni.

Già la ressa in piazza Duomo alle 4 del mattino è notevole e fa prefigurare il solito pienone che si stenderà tra il Piano di Sant’Agata e via Garibaldi.

celebrazione di Sant’Agata Catania

E’ un colpo d’occhio che ti penetra dentro sino al cuore e all’anima e che ti fa restare muto e attonito: i devoti, migliaia e migliaia col sacco devozionale, ma anche tantissimi catanesi che non si sono risparmiati la levataccia per salutare fisicamente, carichi di emozione, Sant’Agata, la loro Patrona, la loro Mamma, Sorella, Amica. Si,perché Sant’Agata è tutto questo per Catania e i suoi irriducibili devoti.

Poco prima delle 6 comincerà l’attesissima Messa dell’Aurora,, ma l’esaltazione dei fedeli cresce non appena intravedono il mezzo busto della Santa inizia così il lungo giro esterno per la vecchia Catania.

Col suo andare lento il fercolo raggiunge nel tardo pomeriggio la Basilica Madonna del Carmine.

In prima serata avviene il passaggio da Piazza Stesicoro con la salita dei cappuccini, toccando la Chiesa di Sant’Agata alla fornace,il Santuario di Sant’Agata al Carcere,la Chiesa di Sant’Agata la Vetere in cui sosta, e via Santa Maddalena che furono il luoghi del martirio.

La salita dei Cappuccini viene effettuata di corsa, in due riprese e termina dinanzi alla chiesa di San Domenico.

Salita San Giuliano Sant’Agata

Si riprende due ore dopo, per via Plebiscito, rientro nella mattinata in Cattedrale.

 

  • Festeggiamenti del 5 Febbraio:

Alle 8.30 le reliquie di Sant’Agata sono sull’altare maggiore della Basilica Cattedrale.

Cattedrale piena,partecipazione corale e sentita,omelia assonante a Sant’Agata che testimoniò pienamente il Vangelo nell’amore totale a Dio,sino al sacrificio estremo della vita,nell’angusto, buio ed umido Santo Carcere.

Mentre le ombre incombono nella città , con la via Etnea illuminata da migliaia di torce, frapposte tra candelore e il fercolo, quasi a illuminarne, come una volta, il percorso, mentre le luminarie addobbano di luci vie e piazze cittadine interessate alla festa e grandiosi fuochi d’artificio rischiarano il cielo sopra Piazza Duomo e dintorni,il fercolo si muove da Piazza Duomo, per il giro più suggestivo ed atteso, quello interno,che attraverserà via Etnea e via Caronda sino al Borgo , dove si potrà ammirare a notte fonda , un fantasmagorico spettacolo pirotecnico.

Dopo il fuoco del Borgo, il fercolo riscende per via Etnea sino ai Quattro Canti. A questo punto la festa vive il suo momento più magico: la salita di San Giuliano.

Devoti Sant’Agata

Altro momento coinvolgente ed emozionante è il soave canto notturno delle Benedettine di Clausura. In religioso silenzio, migliaia di fedeli ascoltano le dolci voci delle benedettine che inneggiano a Sant’Agata, al suo martirio,alla sua verginità, al suo incrollabile amore per Dio.

E’ già giorno , quando il fercolo , ritorna in cattedrale. La Santa rientra nella sua cameretta con il volto rivolto ai fedeli, che la salutano, spesso in lacrime.

Numerose e suggestive sono le leggende che sono fiorite attorno alla figura della Santa.

Per dar loro fondamento e credibilità,specie per quanto riguarda le due iscrizioni agatine di MSSHDEPL e NOPAQUIE, che si leggono sulle porte della cattedrale e su parecchi monumenti agatini, si ricordi che di parecchi di esse è stato detto che siano di origine divina.

  • MSSHDEPL:

significherebbe infatti che la mente di Sant’Agata è sana e spontanea,per l’onore di Dio e per la salvezza della sua città, e la tradizione dice che un angelo scese dal cielo e depositò questa iscrizione,incisa in una tavoletta , che ora si conserva a Cremona,sulla tomba si Sant’Agata, nel 251d.c.

iscrizione MSSHDEPL

  • NOPAQUIE:

significherebbe “Non offendere la patria di Sant’Agata perché essa è vendicatrice delle offese”, e si dice che per queste parole l’imperatore Federico II di Svevia, nel 1232-33,abbia salvato la vita ai Catanesi,che aveva deciso di mandare tutti a morte, perché rei di ribellione contro di lui. L’imperatore avrebbe letto queste parole in un cartiglio, indicate con le sole iniziali, e misteriosamente trovate in un suo libro di devozioni.

iscrizione NOPAQUIE

Di origine più popolare sono le altre leggende.

I dolci tipici di Sant’Agata, come tutti sanno,sono le olivette,la leggenda dice che Agata mentre veniva condotta al tribunale del suo persecutore Quinziano, si fermò per allacciarsi una scarpa. In quel punto preciso sbocciò un oleastro,e i suoi frutti furono raccolti dai devoti catanesi.

dolci tipici legati alla tradizione per la festa di Sant’Agata

Il bello è che dinanzi alla chiesa del Santo Carcere,nella piazzetta lungo la salita dei Cappuccini, nell’aiuola che è sotto la finestra, fiorisce, manco a farlo apposta,un oleastro: e molti ingenuamente credono che sia proprio l’oleastro di Sant’Agata,mentre è stato piantato lì verso il 1920, ad opera di Vincenzo Casagrandi . Non potendo piegare Sant’Agata né con le blandizie né con i tormenti,Quinziano la mandò a morte,dopo averle fatto strappare una mammella con le tenaglie:Ma tutto andò contro i suoi desideri: la terra fu scossa,la gente si convertì al cristianesimo, ed al crudele tiranno fu riservata una morte orribile, annegando nei gorghi del Simeto, mentre attraversava il fiume per andare a prendere possesso dei beni confiscati alla sua vittima.

Il popolo infatti, per spiegare i grossi gorghi che si notavano nel fiume Simeto durante le piene invernali, faceva ricorso alla leggenda agatina, e qualcuno affermava di sentire , il 5 Febbraio, l’urlo disperato di Quinziano e l’ultimo nitrito del cavallo, travolti dalle onde vendicatrici del fiume catanese. Ma la più poetica tra le leggende agatine è quella riguardante la tela di Sant’Agata.

Per tenere a bada il potente Quinziano, che la voleva sposare, la giovinetta catanese, ricorrendo ad uno stratagemma che ricorda molto da vicino quello di Penelope, disse che si sarebbe sposata quando avesse finito la tela che stava tessendo; naturalmente, come Penelope,di notte disfaceva quanto aveva tessuto di giorno, sicché il lavoro non finiva mai.

05 FEBBRAIO

 

SANT'AGATA

 

Catania, 235 - 5 febbraio 251

Nacque nei primi decenni del III secolo a Catania in una ricca e nobile famiglia di fede cristiana. Verso i 15 anni volle consacrarsi a Dio. Il vescovo di Catania accolse la sua richiesta e le impose il velo rosso portato dalle vergini consacrate. Il proconsole di Catania Quinziano, ebbe l'occasione di vederla, se ne invaghì, e in forza dell'editto di persecuzione dell'imperatore Decio, l'accusò di vilipendio della religione di Stato, quindi ordinò che la portassero al Palazzo pretorio. I tentativi di seduzione da parte del proconsole non ebbero alcun risultato. Furioso, l'uomo imbastì un processo contro di lei. Interrogata e torturata Agata resisteva nella sua fede: Quinziano al colmo del furore le fece anche strappare o tagliare i seni con enormi tenaglie. Ma la giovane, dopo una visione, fu guarita. Fu ordinato allora che venisse bruciata, ma un forte terremoto evitò l'esecuzione. Il proconsole fece togliere Agata dalla brace e la fece riportare agonizzante in cella, dove morì qualche ora dopo. Era il 251. (Avvenire)

 

 

PREGHIERA A SANT'AGATA

O gloriosa sant'Agata, che per non tradire la fede giurata a Gesù, 
generosamente sprezzaste tutte le offerte del governatore Quinziano, quando 
vi cercò in sposa e protestaste con coraggio di voler subire tutti i supplizi 
anziché rinnegare la vostra fede, fate che l'interesse ed il rispetto 
umano non ci portino a violare i nostri santi propositi. Voi che sapeste serbarvi 
immacolata in mezzo alle tentazioni più pericolose e violente, otteneteci dal Signore
la grazia di resistere sempre coraggiosamente agli assalti del demonio e fate che 
ci gloriamo sempre di essere seguaci del Crocifisso, disposti a soffrire anche la 
morte piuttosto che offenderlo menomamente. Così sia

 

 

 

CORONCINA a SANT' AGATA

 

I. Verginella graziosa, di Gesù celeste sposa che in difesa della fede ti mettesti sotto il piede le minacce e il vano onore dell’iniquo e rio pretore. Fa’ che in noi conviva insieme vera fede, amore e speme.
Rit.: O eroina del cielo, Agata bella,splendi al mio morir propizia stella.

II. A convivere costretta nella casa maledetta, sempre di animo costante e a Gesù fedele amante, custodisti con fortezza la tua angelica purezza. Deh, ci ottiene dal Signore la beltà del tuo candore.
Rit.: O eroina del cielo, Agata bella,splendi al mio morir propizia stella.

III. Del divino ardor ripiena, ripigliasti nuova Iena in udir bestemmie ardite dal tiranno proferite onde tempio già deriso ti percosse ancor sul viso. Fa’ che noi soffriam disprezzi per goder gli eterni vezzi.
Rit.: O eroina del cielo, Agata bella,splendi al mio morir propizia stella.

IV. Sei l’esempio di costanza del tuo amante a somiglianza: nell’eculeo ligata, fosti tutta straziata sin dal sen ti fùron strappate le mammelle tue sacrate. Fa’ che abbiamo noi fortezza nel soffrir ogni amarezza.
Rit.: O eroina del cielo, Agata bella,splendi al mio morir propizia stella.

V. Per guarirti il casto petto scese Pier del ciel eletto con celeste medicina, ma tu amazzone eroina rifiutasti il grato unguento per aver maggior tormento. Fa’ che noi di questo mondo non alletti il senso immondo.
Rit.: O eroina del cielo, Agata bella,splendi al mio morir propizia stella.


Posta sopra ardente brace, non fu teco il fuoco audace anzi il cielo, assai sdegnato, per sì barbaro attentato, scoppiò i fulmini più fieri contro l’empio e i consiglieri. Fa’ che odiamo noi gli errori per schivar gli eterni ardori.
Rit.: O eroina del cielo, Agata bella,splendi al mio morir propizia stella.

VII. Ritornata alla prigione, quale intrepido campione, vincitrice trionfante, là nel mezzo già spirante, desti a Dio tuo corpo e vita, vera vittima gradita. Fa’ che tocchi a noi la sorte di ottener la stessa morte.
Rit.: O eroina del cielo, Agata bella,splendi al mio morir propizia stella.

 

 

 

PREGHIERA A SANT'AGATA

 

O gloriosa Vergine e Martire sant'Agata,

voi che sin dalla prima età consacraste a Dio la mente e il cuore,

voi che imitaste l'Agnello immacolato nella esimia purezza della vita,

nell'esercizio delle più eroiche virtù e nella lotta gloriosa del martirio;

deh! pregate per noi, otteneteci di rassomigliarvi.

Che la fede divina illumini la nostra mente e muova le nostre azioni!

Che siamo dappertutto cristiani, senza rispetto umano!

Che otteniamo per i vostri meriti, il trionfo sulle nostre ree passioni

e sugli assalti di satana!

Che raggiungiamo il fine per cui Dio ci creò e ci redense,

la beata corona del Paradiso. Così sia.

Le leggende più affascinanti attribuite a Sant’Agata

 

Sono davvero numerose le leggende attribuite a Sant’Agata. Tra le più affascinanti quelle dell’Impronta, del Simeto, del Saio, delle “Sette porte di ferro”, dell’”Olivo fiorito”

 

Tante le leggende legate a Sant’Agata, tra cui quella dell’Impronta. Quinziano provò a convincere Agata a intraprendere la via del piacere ma la fanciulla rispose: “è più facile che si rammollisca questa pietra, che non il mio cuore alle tue blandizie!“, battendo il piede che lasciò un’orma su una pietra, conservata ancora oggi a Catania, nella chiesa del Santo Carcere.

Dopo aver mandato a morte Agata, Quinziano fu costretto a scappare a causa di un forte scossa di terremoto e della folla che voleva linciarlo. Ma nel tentativo di attraversare il fiume Simeto, vi annegò nei gorghi. Questo avvenimento alimentò la leggenda del Simeto:sembra che la notte tra il 4 e il 5 febbraio, giorni del martirio, da quei gorghi in cui Quinziano perse la vita, si sentano ancora le sue urla disperate che chiamano insistentemente il nome Agata e l’ultimo nitrito del cavallo, anch’esso travolto dalle acque del fiume. Cosa si nasconde, invece, dietro al “sacco”, tradizionale camice bianco vestito dal “Cittadino”, devoto catanese, durante la processione? Si narra che l’arrivo del corpo di Sant’Agata, il 17 agosto 1126, avvenne in piena notte e ad uscire per accogliere il corpo della Santa furono i soli uomini, così come si trovavano, in camicia da notte e da allora tutti i devoti si vestono così.

 

Un’altra leggenda è quella delle “Sette porte in ferro”. Nel 1890 le sacre reliquie con tutto il tesoro, erano custodite “normalmente” dentro il duomo. Quando avvenne il grande furto, e recuperata parte della refurtiva, si pensò bene di tutelare questo inestimabile tesoro con dei cancelli robustissimi e invalicabili in ferro, da qui il famoso proverbio catanese: “Doppu cà a S.Aita a rubbaru ci ficiru i potti di ferru”(Dopo che S.Agata è stata derubata,è stata protetta con porte in ferro).Dentro la navata destra del duomo sorge una pesantissima ed altissima “ringhiera” che blocca l’accesso all’altare di S.Agata, dove nella sinistra vi si scorge una porticina anche essa in ferro, che dà in una specie di nicchia detta la “Cammaredda” della Santa. Si apre con due chiavi che sono in possesso, una dell’arcivescovado e l’altra del comune. Ebbene le credenze popolari hanno messo in giro anche la leggenda che oltre la ringhiera e la porticina descritta, vi siano ancora 5 porte di vario spessore, con una molteplicità di catenacci e fermature prima di arrivare alla famosa stanzetta.

 

Ancora oggi, durante i festeggiamenti qualche padre o nonno riporta ai figli o nipoti tale leggenda, ritenendola invece “notizia storica” reale. Davanti al Sacro Carcere, dirimpetto alla finestra della cella di S.Agata, vi è un aiuola con un olivo, in ricordo di un’altra leggenda riguardante S.Agata: “ Ella,ferita, giaceva a terra nella cella, era tormentata dal sole tutto giorno implacabilmente, e dai freddi venti di tramontana durante le ore della notte. Vi era sotto le mura del carcere, un vecchissimo olivo ormai secco e logoro che non produceva più da tempo nè foglie ne frutti, e doveva essere abbattuto”. Si narra che per alleviare le sofferenze di S.Agata l’olivo improvvisamente, stese i suoi secchi rami fino alla finestra della cella, ricoprendoli di giovani foglie creando una barriera d’ombra ai raggi del sole,e produsse qualche frutto con lo scopo di sfamare la giovinetta. Per questo a Catania i giorni della festa di S.Agata si preparano le Olivette di S.Agata, fatte di marzapane ,ovviamente con la forma e il colore dell’oliva.

Nel corso dei secoli, solo gli uomini potevano trainare i canapi del fercolo e soltanto da poco tempo è consentito alle donne partecipare ma le donne avevano, in tempi antichi, un rapporto diverso con la festa. Pur essendo escluse, di fatto, dalla partecipazione attiva, avevano escogitato un bel modo per partecipare alla festa. Andavano vestite con un sacco che lasciava libero un solo occhio , potevano muoversi liberamente e ricevere molti doni. Erano chiamate “Le Intuppatedde” (le chiuse,otturate) in quanto potevano vedre tutto ma, così vestite, non potendo essere riconosciute, non perdevano rispettabilità e decoro, pur divertendosi. Tali figure sono sopravvissute fino alla metà dell’Ottocento, quando hanno trasformato lo scopo di quel travestimento: solo le ragazze da marito si agghindavano in quel modo, andando per le vie della città in festa, lontano dalla processione, a “stuzzicare” i giovanotti maritabili ,avendo il vantaggio di non essere riconosciute. Talvolta si stuzzicava il proprio fratello, che inconsapevole “subiva” dalla propria sorella delle piccole angherie, magari per ripagare un torto subito.

Sant’Agata, quando la leggenda arriva in cucina

 

Parlare della festa di Sant’Agata senza soffermarsi sulla tradizione culinaria che la riguarda è praticamente impossibile. Camminare lungo le vie del centro significa immergersi in un tripudio di profumi: torrone, zucchero filato e caramellato, pasta di mandorle, croccanti e caramelle solleticano l’olfatto di cittadini e turisti, devoti e non. Fra i banchi ricolmi di calia e simenza, torroni sapientemente lavorati a vista dei passanti, mandorle, nocciole e noccioline caramellate, è possibile deliziare il proprio palato. Una sinfonia di odori che invita a degustare le specialità tradizionali agatine.

Ma è in pasticceria che i banconi si colorano del verde della specialità nota come “olivette”: piccole “olive” di pasta di mandorle (colorate di verde, ricoperte di zucchero o cioccolato nero) che ricordano un episodio dell’agiografia di Sant’Agata, un evento leggendario legato al suo culto. Secondo questo racconto, la giovane Agata mentre era in fuga dai soldati romani del proconsole romano Quinziano, si fermò per allacciarsi una scarpa. In quel punto germogliò e crebbe un albero di ulivo che non solo nascose la giovane Agata alla vista di coloro che sarebbero diventati i suoi carnefici, ma la riparò con la sua ombra offrendole ristoro e modo di sfamarsi.

Secondo la tradizione, anche le cassatelle di Sant’Agata sono legate alla storia delle vergine catanese. Il dolce, noto anche come “minnuzzi ri Sant’Ajita”, vuole ricordare il martirio cui Agata fu sottoposta per obbligarla ad abiurare la sua fede. E’ la forma della cassatella a simboleggiare il martirio: pan di Spagna tondeggiante, come una piccola cupola, ricoperto di glassa bianca e rifinito da una ciliegia candita in cima. E’ probabile, comunque che il dolce discenda da una tradizione più antica, legata a culti femminili preesistenti, visto che nel resto della Sicilia il dolce prende nome di “minni di vergine”.

Pasta e ciciri è invece il menù del quartiere catanese della Civita nel giorno del giro esterno di Sant’Agata, il 4 febbraio, quando il Fercolo passando dagli Archi della Marina e arrivando a piazza dei Martiri abbraccia la borgata dei pescatori. Significano abbondanza, devozione e fanno parte della tradizione della festa. Vengono cucinati da generazioni e le donne che mettono a tavola le pentole fumanti abbandonano la loro cucina solo per offrire una candela alla Santa. Le nonne e le bisnonne tramandano questa usanza a figlie e nipoti e, racconta qualcuno, che una volta la pasta e ceci, il giorno della Festa, si mangiava a colazione. E oggi, nelle vie della civita, vi possiamo garantire, l’odore di pasta e ceci, fa ancora venire l’acquolina in bocca.

Festa di Sant’Agata

 

Una città vestita di fede

  • I Festeggiamenti del 3 Febbraio

I festeggiamenti in onore di Sant’Agata cominciano sin dalla prima domenica di gennaio con la messa solenne nel Santuario del Santo Carcere, e proseguono tutte le domeniche del mese.

A mezzogiorno dodici colpi dodici colpi a cannone annunziano alla città il grande evento del 5 Febbraio.

Il sindaco consegna al prelato l’anello con l’effige della Patrona, che l’arcivescovo porterà fino all’ottava della festa.

A mezzogiorno,mentre in cielo rimbombano le dodici cannonate, tutti si ritrovano nella Chiesa di Sant’Agata alla Fornace per la processione dell’offerta della cera a Sant’Agata.

Si può orgogliosamente dire che è una delle processioni più lunghe al mondo, a cui partecipano le varie confraternite,i circoli agatini ,i rappresentanti di categorie e di enti,il clero, l’Arcivescovo,autorità civili e militari,i gonfaloni di Comune,Provincia regionale di Catania,Università, dei Comuni dell’Arcidiocesi e ancora, le due carrozze del Senato catanese e infine , le undici candelore.

Fuochi del 3 Febbraio Cattedrale Sant’Agata

Una folla straripante fin dal mattino fa ala a tutte le manifestazioni, tra folklore e tradizione. La sera, alle 20, dopo gli inni tradizionali in onore della Santa, giunge il momento più atteso della giornata: lo spettacolo dei fuochi pirotecnici, tutti con il naso all’insù per scrutare il cielo che si illumina per decine e decine di minuti di disegni e cascate di fuochi incredibili e suggestivi al suono di musiche classiche e operistiche, in particolare è eseguita la sinfonia di Norma  del nostro Vincenzo Bellini.

Concerto del 3 Febbraio Catania

  • I festeggiamenti del 4 Febbraio:

Neppure il tempo di un riposo notturno soddisfacente che subito di nuovo drittin quella che è ritenuta la notte bianca e più lunga dei catanesi, per essere ai primi posti nella Basilica Cattedrale allorquando le sacre reliquie di Sant’Agata lasceranno la cameretta,in cui sono state custodite per un anno,per essere poste sul trono argenteo al centro dell’abside della navata centrale tra canti, sventolio di fazzoletti bianchi,occhi luccicanti di fede,di devozioni e di emozioni.

Già la ressa in piazza Duomo alle 4 del mattino è notevole e fa prefigurare il solito pienone che si stenderà tra il Piano di Sant’Agata e via Garibaldi.

 

E’ un colpo d’occhio che ti penetra dentro sino al cuore e all’anima e che ti fa restare muto e attonito: i devoti, migliaia e migliaia col sacco devozionale, ma anche tantissimi catanesi che non si sono risparmiati la levataccia per salutare fisicamente, carichi di emozione, Sant’Agata, la loro Patrona, la loro Mamma, Sorella, Amica. Si,perché Sant’Agata è tutto questo per Catania e i suoi irriducibili devoti.

Poco prima delle 6 comincerà l’attesissima Messa dell’Aurora,, ma l’esaltazione dei fedeli cresce non appena intravedono il mezzo busto della Santa inizia così il lungo giro esterno per la vecchia Catania.

Col suo andare lento il fercolo raggiunge nel tardo pomeriggio la Basilica Madonna del Carmine.

In prima serata avviene il passaggio da Piazza Stesicoro con la salita dei cappuccini, toccando la Chiesa di Sant’Agata alla fornace,il Santuario di Sant’Agata al Carcere,la Chiesa di Sant’Agata la Vetere in cui sosta, e via Santa Maddalena che furono il luoghi del martirio.

La salita dei Cappuccini viene effettuata di corsa, in due riprese e termina dinanzi alla chiesa di San Domenico.

Si riprende due ore dopo, per via Plebiscito, rientro nella mattinata in Cattedrale.

Salita San Giuliano

  • Festeggiamenti del 5 Febbraio:

Alle 8.30 le reliquie di Sant’Agata sono sull’altare maggiore della Basilica Cattedrale.

Cattedrale piena,partecipazione corale e sentita,omelia assonante a Sant’Agata che testimoniò pienamente il Vangelo nell’amore totale a Dio,sino al sacrificio estremo della vita,nell’angusto, buio ed umido Santo Carcere.

Mentre le ombre incombono nella città , con la via Etnea illuminata da migliaia di torce, frapposte tra candelore e il fercolo, quasi a illuminarne, come una volta, il percorso, mentre le luminarie addobbano di luci vie e piazze cittadine interessate alla festa e grandiosi fuochi d’artificio rischiarano il cielo sopra Piazza Duomo e dintorni,il fercolo si muove da Piazza Duomo, per il giro più suggestivo ed atteso, quello interno,che attraverserà via Etnea e via Caronda sino al Borgo , dove si potrà ammirare a notte fonda , un fantasmagorico spettacolo pirotecnico.

Dopo il fuoco del Borgo, il fercolo riscende per via Etnea sino ai Quattro Canti. A questo punto la festa vive il suo momento più magico: la salita di San Giuliano.

Devoti Sant’Agata

Altro momento coinvolgente ed emozionante è il soave canto notturno delle Benedettine di Clausura. In religioso silenzio, migliaia di fedeli ascoltano le dolci voci delle benedettine che inneggiano a Sant’Agata, al suo martirio,alla sua verginità, al suo incrollabile amore per Dio.

E’ già giorno , quando il fercolo , ritorna in cattedrale. La Santa rientra nella sua cameretta con il volto rivolto ai fedeli, che la salutano, spesso in lacrime.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Sant'Agata, la regina di Catania che con la sua festa incanta il mondo

 

05/02/2018  Venerata da cattolici e ortodossi, è patrona di Catania. La sua festa, con la spettacolare processione delle reliquie, è stata dichiarata patrimonio mondiale dell'umanità Unesco. Vergine e martire, fu sedotta dal proconsole Quinziano ma lei non cedette. E lui la fece torturare fino a farle strapparle i seni con grosse tenaglie

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Giovanni Battista Tiepolo, Martirio di Sant'Agata, Berlino, Gemäldegalerie

La più antica fonte sul martirio della giovane catanese Agata, che in greco significava buona, è la Passio, che risale alla seconda metà del V secolo (di cui si hanno due variazioni greche e una latina che sostanzialmente coincidono). Essendo un testo letterario edificante, essa presenta dati storici che vanno letti con cautela, ma che concordano sul tempo della morte che sarebbe avvenuta il 5 febbraio 251, durante la persecuzione di Decio, data che può essere accettata. Agata, cresciuta in una famiglia illustre e ricca, sentì presto il desiderio di donarsi totalmente a Cristo: il che fece a circa 15 anni.

Nei primi tempi del Cristianesimo le vergini consacrate, con la loro scelta di vita, rappresentavano un esempio diverso dentro un mondo pagano e in disfacimento. Il vescovo della città, nella cerimonia della velatio, le impose il flammeum, velo rosso portato dalle vergini consacrate; secondo alcuni era probabile che Agata avesse già 21 anni, infatti è rappresentata con tunica bianca e il pallio rosso (ad esempio nel mosaico di Sant’Apollinare Nuovo in Ravenna del VI secolo è raffigurata con la tunica lunga, dalmatica e stola a tracolla) segni della diaconessa, cioè di una donna con ruolo attivo nella comunità cristiana, con il compito, fra gli altri, di istruire i nuovi adepti. Nell’anno a cavallo fra il 250 e il 251 il proconsole Quinziano era giunto a Catania – città fiorente posta in ottima posizione geografica, con un grande porto, che costituiva un vivace punto di scambio commerciale e culturale dell’intero Mediterraneo – anche per far rispettare l’editto imperiale che chiedeva a tutti i cristiani l’abiura pubblica della loro fede. Affascinato da Agata che seppe essere una consacrata, le ordinò di adorare gli dei pagani. Al suo secco rifiuto il proconsole la affidò per un mese alla cortigiana Afrodisia (forse sacerdotessa di riti pagani che comprendevano la prostituzione sacra) con lo scopo di corromperla. Fallito ogni tentativo di corruzione, Quinziano avviò un processo contro Agata, di cui sono riferiti i dialoghi tra il proconsole e la santa, che rispecchiano sentimenti e linguaggio dei cristiani, e dai quali si comprende che la giovane era edotta in dialettica e retorica.

Suggestivo è il passaggio dove Agata, alla domanda circa la sua famiglia, risponde di essere libera e nobile di nascita; allora il magistrato le domanda perché conduce una vita da schiava, la giovane risponde: “La nobiltà suprema consiste nell’essere schiavi di Cristo”. Tradotta in carcere fu sottoposta a tortura che culminò con lo strappo di una mammella. Nella stessa notte venne visitata da san Pietro che la rassicurò e le risanò le ferite. Adirato Quinziano, la cui passione per Agata si era tramutata in odio, la fece porre nuda su cocci di vasi e carboni ardenti: improvvisamente vi fu un terremoto e crollò il luogo dove avveniva il supplizio, seppellendo i carnefici. Infine venne sottoposta al supplizio dei carboni ardenti. A questo punto, secondo la tradizione, mentre il fuoco bruciava le sue carni, non bruciava il velo che lei portava; per questa ragione “il velo di sant’Agata” diventò da subito una delle reliquie più preziose. Mentre la città era in preda al panico Agata spirava, alla presenza di molti testimoni, nella sua cella pregando e ringraziando Dio di averle conservato la verginità. I fedeli ne raccolsero le spoglie e con grande onore le deposero in un sepolcro nuovo.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

L'intervento di Agata salvò Catania dalla lava dell'Etna

Nel primo anniversario della morte di Agata, una violenta eruzione dell’Etna minacciava di seppellire Catania: in ricordo e ammirazione per la martire i catanesi, compresi i pagani, presero il velo deposto sul sepolcro e lo usarono come scudo contro la lava ardente: immediatamente il fiume di fuoco si arrestò. Da questo episodio si sviluppa lo straordinario culto dedicatole dalla città di Catania, di cui è patrona. L’uso di opporre alla lava il miracoloso velo è continuato nel tempo. Ancora nel 1886 il velo fermò la lava al borgo Nicolosi, posto sulle pendici del vulcano, che venne risparmiato dalla distruzione.

Agata fu dapprima sepolta nel suburbio di Hybla Maior. Nel 1040 il suo corpo fu trafugato e portato a Costantinopoli, ma nel 1126 due soldati della corte imperiale, il provenzale Gilberto ed il pugliese Goselmo, a cui era apparsa la Santa, lo riportarono a Catania con una nave che approdò la notte del 7 agosto in un posto denominato Ognina. Tutti i catanesi, risvegliatisi, accorsero a onorare la loro patrona: il 17 agosto le reliquie rientrarono nel Duomo, dove sono conservate in nove reliquiari.

Il culto di Agata, diffuso anche in Oriente, ricorre più volte nel Martirologio geronimiano e il suo nome fu inserito nel canone della messa romana, forse per volere di Gregorio Magno (per cui è venerata con memoria obbligatoria anche oggi) e in quello ambrosiano e ravennate.

A Napoli il suo culto è significato da un affresco del IV secolo nella catacomba di San Gennaro. A Roma papa Simmaco, agli inizi del VI secolo, le intitolò una basilica sull’Aurelia e Gregorio Magno riferisce nei suoi scritti di aver riaperto al culto cattolico una basilica fatta erigere in Trastevere dal patrizio Ricimero per gli ariani, introducendo le reliquie dei santi Agata e Sebastiano.

Il culto era ampiamente diffuso anche in Italia settentrionale: nel Duecento la diocesi di Milano contava ben 26 chiese a lei intitolate. La venerazione per la martire è sparsa in tutto il mondo. Agata protegge 44 comuni italiani, dei quali 14 ne portano il nome. È compatrona di Malta con san Paolo, così come della Repubblica di San Marino. Molto diffusa è la venerazione di Agata in Spagna, e quindi nell’America latina. A Barcellona è intitolata ad Agata la cappella del palazzo reale dove i re cattolici, Isabella e Ferdinando, ricevettero Cristoforo Colombo al suo primo ritorno dall’America, e presso Segovia esiste la tradizione curiosa secondo cui il 5 febbraio comandano le donne che eleggono addirittura una sindachessa, mentre gli uomini sbrigano le faccende domestiche.

Sant’Agata era invocata contro gli incendi, e poiché quando questi scoppiavano si usava suonare a martello le campane, si prese l’abitudine di incidere il suo nome su queste, assieme a quello della Madonna e di altri santi protettori. Per questo motivo i costruttori di campane si posero sotto la protezione di Agata. In relazione alla tortura che le strappò i seni la santa di Catania era molto invocata dalle madri per  l’allattamento e per conseguenza dalle balie.

Catania riserva alla sua patrona, dal 3 al 5 febbraio, festeggiamenti grandiosi, dove l’elemento devozionale si mischia con quello folclorico. La città viene percorsa da una processione solenne e imponente, in cui si porta il fercolo d'argento chiamato “a vara”, dentro il quale sono custodite le reliquie della Santa, accompagnato da undici enormi candelieri, detti “cannalore”, fantasiose sculture verticali in legno con scomparti dove sono scolpiti gli episodi salienti della vita della santa, appartenenti ciascuna alle corporazioni degli artigiani cittadini. Considerata tra le tre principali feste cattoliche a livello mondiale per affluenza, la festa di sant'Agata è stata inserita nel sistema dei beni della Val di Noto dichiarati patrimonio mondiale dell'umanità dall’UNESCO: tali festeggiamenti, infatti, sono considerati un bene immateriale di tipo etnoantropologico.

 

La processione delle reliquie di Sant'Agata che si svolge a Catania

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

La contesa delle reliquie tra Galatina e Gallipoli

  

Fra tutte le città italiane di cui sant'Agata è compatrona, Gallipoli (Diocesi di Nardò-Gallipoli) e Galatina (Arcidiocesi di Otranto), in Puglia, sono coinvolte in una singolare contesa che vede come protagonista una reliquia di Sant'Agata, la mammella. Una leggenda diffusa in Puglia spiegherebbe con un miracolo la presenza della reliquia a Gallipoli. Si dice che l'8 agosto 1126 Sant'Agata apparve in sogno a una donna che si era addormentata dopo aver lavato i panni nella spiaggia della Purità a Gallipoli e l'avvertì che il suo bambino stringeva qualcosa tra le labbra: era la mammella della Santa. La donna si svegliò e ne ebbe conferma, ma non riuscì a convincerlo ad aprire la bocca. Tentò a lungo: poi, in preda alla disperazione, si rivolse al Vescovo, che celermente giunse nella spiaggia insieme ad altri ecclesiastici. Il prelato recitò una litania invocando tutti i santi, e soltanto quando pronunciò il nome di Agata il bimbo aprì la bocca. Da essa venne fuori una mammella, evidentemente quella di Sant'Agata. La reliquia rimase a Gallipoli, nella Basilica Concattedrale di Sant'Agata, dal 1126 al 1389, quando il principe Orsini Del Balzo la trasferì a Galatina, dove fece costruire la chiesa di Santa Caterina d'Alessandria d'Egitto, nella quale è ancora oggi custodita presso un convento di frati francescani. Secondo il vescovo gallipolino Montoya de Cardona la reliquia fu trafugata furtivamente dagli abitanti di Galatina "ex auctoritate" e fu "rubata furtivamente e all'insaputa dell'Università gallipolitana". Numerosi sono stati i tentativi dei gallipolini di riportare nella Concattedrale di Sant'Agata la reliquia, a partire dal Vescovo Gaetano Muller, il quale scrisse una lettere al Cardinale prefetto dell'epoca, fino ad arrivare ad Achille Starace, segretario del Partito Nazionale Fascista. Sono state scritte delle lettere per sollecitare il vescovo di Otranto (da cui dipende Galatina), Mons. Donato Negro, a restituire la sacra reliquia tenuta a Galatina.

Economia all'università etnea, affronta uno dei più caldi temi cittadini nella sua tesi di laurea dal titolo La movida catanese, marketing territoriale, concept offerti e imprese a confronto. Nel lavoro dell'ex studentessa il fenomeno viene affrontato sia dal punto di vista sociologico che, soprattutto, da quello del marketing territoriale. Non manca un accenno ai problemi di cui in città si discute da mesi: il business che si crea con gli alcolici venduti ai minorenni, lo spaccio di stupefacenti, il problema dei dehors, ovvero l'occupazione del suolo pubblico tramite strutture mobili. Aspetto, quest'ultimo, che ha dato molto da pensare alla stessa amministrazione comunale, con la maggioranza battuta in consiglio sulla proposta di regolamento presentata dall'assessora alle Attività produttive Angela Mazzola.

Il lavoro della studentessa originaria di Agira, in provincia di Enna, parte dall'aspetto sociologico per poi proseguire con un'analisi di marketing. Non manca però un raffronto di carattere storico-filosofico fra l'attuale movida e l'antico simposio greco, sino ad arrivare alla movida spagnola e in particolare al luogo di nascita del fenomeno: la città di Madrid. L'autrice continua elencando la top ten delle città a livello mondiale in cui la vita notturna è più sviluppata: New York, Las Vegas, Parigi, Londra, Barcellona, Berlino, Amsterdam, Madrid, Los Angeles e Bangkok. Per quanto riguarda l'Italia, Catania conquista il terzo posto, dopo Milano e Roma. Come ricostruito nella tesi di Virzì, il capoluogo etneo avrebbe attinto negli anni alcuni format proprio dalle due più importanti città italiane. «Anche se Catania è una città ricca di suo, capace di produrre una propria movida», spiega l'autrice.

Virzì prende in considerazione alcuni pub, ristoranti, discoteche e pizzerie fra i più conosciuti e rinomati del capoluogo etneo, Tra questi, Pepe Nero, Il Vicolo, Alle Volte, Ciciulena, Gisira, La Chiave, Bonù, Vintage, Ma e Banacher. «Nonostante a Catania non vi sia un vero e proprio marketing territoriale, la città riesce comunque ad esprimere un proprio concept grazie alla forza delle proprie imprese», continua la neolaureata. Che non nasconde i problemi del fenomeno etneo - spaccio, alcolismo, risse e violenze -, i quali avrebbero un effetto negativo sull'aspetto economico della movida. Senza dimenticare che «alcune ordinanze comunali, restrittive e punitive, non serviranno da sole a risolvere il problema - conclude Virzì -Ma, quantomeno, saranno un punto di partenza».

Sant'Agata, i miti e le leggende del culto etneo
Dai sette cancelli all'ulivo che la nutrì in carcere

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Costume e società – La storia della patrona è fatta di miti, usanze e leggende. Talvolta tanto inverosimili quanto universalmente accettati: assorbono spesso storie più antiche e si arricchiscono nei secoli di sfumature di colore. Buona parte dei racconti sono però il frutto della ricchissima creatività popolare. Guarda le foto

Doppu cha a Sant'Ajta c'arrubaru
Ci ficiru i port'i ferru!
(motto popolare)

Nel 1890, in pieno regime dei Savoia, il tesoro agatino viene violato. Per secoli nessuno mai aveva osato tanto, tutto cambia quell'anno. Per questo prima di allora non era mai stata pensata una misura di sicurezza. L'immaginario collettivo sa bene di cosa si tratta: sette cancelli, altrettante chiavi e migliaia di combinazioni e lucchetti fanno la guardia al simulacro della patrona di Catania. La Cammaredda - la cameretta - ricavata in un'intercapedine tra l'abside centrale e la cappella di sant'Agata - è il luogo in cui riposa il busto. Per accedere al quale, vuole la tradizione, sarebbe necessario passare attraverso meccanismi machiavellici. Impossibili da realizzare se si nota che, materialmente, lo spessore murario non è così tanto da concedere simili macchinazioni. Prontamente si replica sull'esistenza di ascensori che conducono a sotterranei segreti. Sotterranei, beninteso, che nel capoluogo etneo sono tutti comunicanti. Niente è riuscito a intaccare questa leggenda metropolitana, una tra le mille e più che agitano le vie cittadine. 

Sembra poi che Sant'Agata le attiri su di sé, come una sorta di faro di storie, soprattutto inverosimili. Così un acquedotto datato al I secolo d.C., la maggiore opera idraulica della Sicilia romana, diventa un omaggio che Quinziano vuole fare alla fanciulla per conquistarla. Una fanciulla che – in assenza di dati concreti – diventa ogni anno più giovane al momento del martirio. E Quinziano da canto suo non è da meno, così lo troviamo morire annegato tra le acque del Simeto – che come il Mar Rosso biblico si apre e si richiude sul proconsole e relativa cavalcatura – e il suo fantasma aleggerebbe ancora tra onde burrascose del fiume la notte tra il 4 e il 5 di febbraio. Peccato che da che esiste la diga elettrica alla Quarara di Manganelli, il fiume abbia perso buona parte del suo vigore, mettendo a tacere le voci: di Quinziano, dei suoi cavalli e del popolo.

La tradizione ricorda poi le impronte miracolose impresse nella roccia al momento dell'incarceramento. Ciò che si ignora, però, è che in epoca antica era usanza realizzare doni (i cosiddetti ex voto) per chiedere la guarigione delle parti anatomiche malate o sofferenti. In quelle società dove il cavallo era un lusso si trattava spesso dei piedi. Nel momento dell'arresto, la tradizione vuole che alla santa sia scivolato pure un seme di oliva. Che miracolosamente attecchisce e diventa grande e robusto. Per la festa si usa consumare le celebri aliveddi, a sostituire quelle aspre dello storico albero distrutto da un fulmine quasi 40 anni fa. Il legame tra l'albero e la santa appare descritto in modi diversi tra loro: in una versione diffusa in anni recenti, l'albero è già piuttosto grande al momento della detenzione di Agata e aiuta la fanciulla a nascondersi e a nutrirsi. Un elemento che permette di capire quanto la vox populi abbia influito a colorare la vicenda. 

La festa di Sant'Agata, del resto, è debitrice di parecchi aspetti dei culti della classicità, e dunque assorbe la simbologia legata all'olivo, pianta sacra per i Greci e illustre culla dei gemelli Romolo e Remo secondo i Romani. Una nota di botanica può porre fine alla questione: nel periodo della passione agatina, l'olivo si sta appena risvegliando dalla pausa invernale. La raccolta dei frutti avviene, invece, in autunno. Quanto poi al carcere vero e proprio, la leggenda e l'iconografia correlata si arricchiscono di sfumature che all'epoca del martirio (III secolo) non esistevano, essendo la giustizia romana piuttosto spiccia e sbrigativa: sono invenzioni la cella angusta e le grate alle finestre. E la finestra da cui si affacciava la santa? Si tratta di un cunicolo scavato nelle mura del 1553 per illuminare l'ambiente che la tradizione inquadra come carcere, ma che l'archeologia ha precisato essere parte di un monumento di gusto ellenistico.

Infine, l'anno dopo la morte della fanciulla, il velo che la ricopriva viene usato per fermare la lava che minaccia la città. Un miracolo al quale segue il cambio di colore della stoffa, che da bianca diventa rossa. Ma, dando per buono che quel drappo rosso fosse appartenuto davvero a Sant'Agata, esso doveva avere già da allora quel colore. Lo stesso delle vesti delle diaconesse, diverso dal bianco usato solo in epoche a noi più prossime. Ma la storia nulla può contro le tradizioni popolari, accettate per fede. E ci vuole poco perché diventino - inevitabilmente - vox Dei. La voce di Dio.

 Le candelore dal 2018 sono 13
 

Le candelore, o cerei di Sant’Agata, sono grosse costruzioni in legno riccamente scolpite e dorate in superficie; fino ad un ventennio fa esse uscivano in processione a partire dal 2 febbraio.
Alcuni storici ritengono che la festa della candelora sia stata istituita da papa Gelasio I nel 492, altri studiosi invece accennano a papa Sergio I, palermitano, il quale la istituì nel 687.
In ogni caso la festa della candelora è la sostituzione di un rito sacro ad un rito pagano, simboleggiando la sua fiamma la “Luce del mondo”che squarcia le tenebre della notte.
Nel 1514 se ne contavano 22 la prima delle quali in processione era quella dei Confettieri adorna di “cosi zuccarati”; nel 1674 sappiamo fossero 28 mentre agli inizi del ‘900 se ne contavano 13.
Oggi sono in totale 11 pesanti dai 400 ai 900 chili, portate a spalla, a seconda del peso, da 4, 8, 10 o 12 uomini.
Ciascuna di esse è legata ad una corporazione di arti e mestieri ad eccezione della prima, la più piccola, voluta dal vescovo Ventimiglia dopo l’eruzione lavica del 1776 che minacciò di invadere i paesi di Pedara e Nicolosi e dell’ultima quella del Circolo Cittadino di Sant’Agata fondato dal Beato Cardinale Dusmet.
Colpita dai bombardamenti della seconda guerra mondiale, quella voluta da Mons. Ventimiglia, venne ricostruita, nella seconda metà del ‘900, non del tutto fedelmente a quella originale. Oggi è custodita nella chiesa di S. Placido ed è gestita dall’Associazione Sant’Agata in Cattedrale.
Segue in processione la candelora dei Rinoti, intitolata “Primo Cereo” e donata dgli abitanti di San Giuseppe la Rena agli inizi dell’800.
A seguire la candelora degli Ortofluricoltori (giardinieri e fiorai), la più originale, in stile gotico veneziano restaurata interamente nel 1983, ripristinando in quest’occasione la tradizionale boccia a corona che la sovrasta, per la quale viene comunemente definita “La regina”. Si conserva nella chiesa di S. Francesco all’Immacolata.
Segue quella dei Pescivendoli, in stile rococò, di fattura ottocentesca, custodita oggi al mercato ittico. Caratteristico il mazzetto di fiori freschi, oggi sostituito da fiori artificiali, che un tempo completava la candelora, che, al tempo dell’Arcivescovo Bentivoglio, veniva benedetto durante una manifestazione nel cuore della pescheria, la mattina del 3 febbraio.
La candelora dei Fruttivendoli, detta la “signorina” per il suo movimento e le sue forme eleganti, scandite alla base da 4 artistici cigni, attualmente è conservata nella chiesa di S. Francesco all’Immacolata.
La candelora dei Macellai, nota comunemente come candelora dei chianchieri, è adornata da una statua rappresentante S. Sebastiano, patrono della corporazione dei macellai e da sempre si conserva presso i locali annessi alla chiesa di S. Sebastiano nei pressi del Castello Ursino.
Il cereo dei Pastai spicca per la sua semplicità ed eleganza, in stile barocco esso è l’unico che manca di scenografie rappresentanti il martirio di Agata, all’interno custodisce ancora il cerone in vera cera, ed è conservato all’interno della chiesa dedicata a S. Francesco all’Immacolata.
Ottava in processione la candelora dei Pizzicagnoli, nota per il suo stile liberty con alla base quattro splendide cariatidi, anch’essa conservata nella chiesa di S. Francesco all’Immacolata.
Segue quella dei Bettolieri, la quale esce in processione a cura del comitato delle feste agatine da quando, agli inizi degli anni ’60, la corporazione non si occupò più della manutenzione e dell’uscita della candelora. Si conserva nella chiesa di S. Francesco all’Immacolata.
La candelora dei Fornai e dei Panettieri, è stata sempre la più pesante di tutte e viene comunemente definita la “Mamma”; portata in processione da ben 12 portantini, oggi si conserva nella chiesa di S. Francesco all’Immacolata.
L’ultima candelora quella del Circolo Cittadino di Sant’Agata, è la più recente, realizzata nel 1874, ed adornata nel 1996 con una statua del Beato Dusmet. La copresenza di una statua raffigurante Sant’Agata ed una dell’Immacolata ricorda come i Catanesi, insieme a Sant’Agata, hanno sempre venerato la Vergine Immacolata come patrona della città. Si conserva presso la Basilica Collegiata sede del Circolo Cittadino Sant’Agata.

Verso Sant’Agata: la “neonata” candelora del Villaggio Sant’Agata

CATANIA – A guardarla sembra come le altre, ma la differenza con le 11 “modelle” della festa di Sant’Agata c’è, anche se ben nascosta. Parliamo della candelora del Villaggio Sant’Agata, bella ed elegante. Ma, soprattutto, potremmo dire nuova ed innovativa (consentiteci il gioco di parole). Sì, perché, anche se non sembra, il cereo ha solo 5 anni di vita.

Tutto nasce dall’iniziativa del presidente del gruppo “Villaggio Sant’Agata” Salvatore Russo, che ha finanziato l’intero progetto di realizzazione. Amore, fede e valori: questo alla base del desiderio del presidente e di tutto il collettivo di ragazzi dell’associazione. In breve, una candelora “fai da te”. Ci sono voluti 3 anni per costruirla, ad opera degli scultori Emanuele ed Eliseo Scirè Branchitta: nel 2010 la prima grande soddisfazione, il completamento del cereo. Due anni dopo (2012) l’esordio nella festa della patrona di Catania.

Il legno, appositamente rivestito da un composto di argento e mistura prima di essere dorato, è in perfetto stile barocco e nasconde molto bene la sua giovanissima età. Così come il peso e l’altezza, perfettamente in linea con le altre: 660 chilogrammi di peso in quasi 5 metri di altezza (4.80 m). Ovviamente anche la struttura e la composizione sono simili agli altri cerei. L’intera opera, infatti può essere suddivisa in 5 parti:

  1. una base i cui piedi sono dei leouna parte inferiore raffigurante il martirio di Sant’Agata (lo strappo delle mammelle, il rifiuto di Agata da parte di Quinziano, il miracolo di San Pietro e l’arresto della colata lavica da parte del cardinale Dusmet attraverso il velo di Sant’Agata)

  2. una parte intermedia

  3. una medio-superiore con statue raffiguranti Sant’Agata, il cuore di Gesù, Sant’Euplio e l’Immacolata

  4. la corona

In quest’ultima è presente il classico mazzetto di fiori, rigorosamente curato dal presidente Russo e dai collaboratori del Villaggio. 

Nella giornata di ieri, la candelora è uscita nelle prime ore del mattino, facendo un giro anche tra le scuole, perché “la festa non è solo folclore, ma anche devozione. Per questo stiamo scrivendo la nostra storia”, ha spiegato uno dei responsabili, Fabrizio Lanzafame.

[Inoltre, anche uno dei giovanissimi portatori, Danilo D’Amico, ci racconta una parte della sua storia e di come si fa la tipica “ballata”.

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