




Alfio Recupero
Quartieri di Catania

In piazza Duomo, a Catania, una statua di un elefante che sorregge un obelisco egizio prende il nome di Liotru o Diotru ed è il simbolo della città.
Si narra che il famigerato elefante venne chiamato Liotru in onore di un mago: Eliodoro, detto anche Diodoro, Liodoro, Lidoro, ed anche Teodoro.
Eliodoro visse intorno al 725 d.C quando Catania era una provincia bizantina dell'Impero Romano d'Oriente. Eliodoro aspirava a diventare il vescovo di Catania ma non riusciva ad affermarsi. Un giorno però conobbe uno stregone ebreo, che gli insegnò arti magiche e lo convertì al giudaismo.
Si racconta che una notte Eliodoro si recò presso il sepolcro degli eroi ed iniziò ad evocare il diavolo, grazie a un misterioso scritto che gli era stato consegnato dallo stregone ebreo. Satana infine apparve e gli chiese cosa volesse. Eliodoro gli comunicò le sue ambizioni ed il demonio rispose: ?Se rinneghi la fede in Cristo, ti pongo a fianco uno della mia corte, Gaspare, che sarà tuo servo, e ti conferirò poteri magici.? Fu così che Eliodoro accettò ed ottenne poteri sovrannaturali.
Fu lui stesso a costruirsi magicamente l'elefante, con la lava dell'Etna. A cavallo della magica creatura girava per la città, facendo scherzi e dispetti alla popolazione. L?elefante veniva utilizzato, inoltre per i suoi lunghi viaggi da Catania a Costantinopoli.
Eliodoro era veramente perfido.
Si racconta che andasse al mercato e comprasse tutto quel che gli piaceva, pagando con ori e diamanti, ma quando se ne andava, i preziosi si trasformavano in sassi. Una volta convinse il nipote del vescovo a puntare a una corsa di cavalli, facendolo vincere. Ma al momento della premiazione il cavallo vincente parlò rivelando che in realtà era Satana stesso al servizio del mago per lo scherzo, e poi sparì.
Eliodoro venne per tale ragione condotto in carcere, ma riuscì a riguadagnare la libertà corrompendo le guardie con l'offerta di tre libbre d'oro. Anche questa volta utilizzò una grossa pietra all'apparenza d'oro, che in seguito riacquistò la sua forma naturale.
Fu Condannato a morte da Costantino ma nel momento in cui stava per eseguirsi la sentenza, egli domandò in grazia una catinella d'acqua: vi tuffò la testa e sparì misteriosamente, dicendo: " Chi mi vuole, mi cerchi in Catania ! ".
Nuovamente ricondotto dinanzi al boia per aver dato fuoco al ?di dietro? della moglie di Eraclio, un ministro di Costantino, Eliodoro, mentre stava per ricevere il colpo di grazia, si rimpicciolì, entrò per la manica destra del carnefice e ne uscì dall'altra, gridando: " Scampai la prima volta; questa è la seconda. Se mi volete, cercatemi a Catania! ". E disparve ancora, facendosi trasportare dagli spiriti nella inquieta città.
Fu il vescovo Leone detto il Taumaturgo che, celebrando una messa propiziatoria riuscì a ridurre il mago Eliodoro in un mucchio di cenere.
Il suo elefante rimase vivo ed è ora simbolo della città di Catania.
A parte le leggende, si ritiene che originariamente la statua dell?elefante sia stato oggetto di culto in un tempio di riti orientali della Città. Stranamente è poi precipitato dal suo altare ai primordi del Cristianesimo e venne portato fuori le mura, dove rimase per più secoli. In seguito dopo essere stato dimenticato per diverso tempo, venne ricondotto in città dai padri Benedettini del monastero di S. Agata e posto ad adornare un antico arco.
Nel 1508, però, essendo stato completato il vecchio Palazzo di Città, l?arco venne abbattuto e l'elefante fu posto sul prospetto della parte nuova dell'edificio, con la seguente iscrizione: Ferdinandus. Hispaniae utriusque. Siciliae. Rege - Elephans erectus fuit a Cesare Jojenio - Justitiario - MDVII
Dopo il terremoto del 1693, l'elefante fu nuovamente abbandonato, finchè, nel 1727, l'olandese Filippo d'Orville, trovandosi di passaggio da Catania, sollecitò che esso venisse innalzato insieme all'obelisco egizio che adesso lo sormonta nella famosa Piazza Duomo.
Tutti sulla Circumetnea
Un mito della montagna, uno dei più attivi vulcani al mondo, un simbolo dell’Italia: l’Etna si vive a 360°, grazie anche ad un trenino che porta a scoprire la natura selvaggia e mutevole che lo circonda.
Semplicemente ‘a Montagna: cosi in siciliano è meglio conosciuto l’Etna, uno dei più famosi vulcani attivi che si erge sulla costa orientale della Sicilia, tra Catania e Messina. Si dice che Eolo avesse imprigionato i venti sotto le caverne dell’Etna e secondo Eschilo il gigante Tifone fu confinato proprio nell’Etna, che per questo si ribellò ed iniziò ad eruttare. Tante sono le leggende legate a questo mito della montagna, e tante sono le emozioni che è in grado di regalare, sia dal punto di vista prettamente geologico, con le strabilianti colate di lava, sia dal punto di vista morfologico e paesaggistico, con i suoi lati coltivati che si alternano alle parti più brulle e selvagge, con i fitti boschi che lasciano spazio alle piste da sci –avete mai sciato sulla neve osservando il mare? -
Un modo insolito e parecchio suggestivo che porta a scoprire le pendici del massiccio cono dell’Etna è salire a bordo della Circumetnea, la ferrovia a scartamento ridotto, lunga 110 chilometri, che in due ore e mezza compie un ampio anello da Catania a Riposto. Tra aranci, ulivi e fichi d’India il trenino sale verso le colate di lava, e, ruotando intorno al vulcano, mostra scenari e visioni che vanno dal magico al fiabesco. Si parte dal quartiere Borgo di Catania e ci si inoltra subito nella campagna, dove compaiono le tracce della disastrosa eruzione del 1669 che distrusse la città. Dopo Misterbianco, che offre grandiosi scorci del vulcano, il trenino si ferma a Paternò, Santa Maria di Licodia, Biancavilla e Adrano. Superato Bronte il paesaggio diventa selvaggio e disabitato, attraversato da spettacolari colate di lava solidificate.
Da Rocca Calanna, a 976 metri, si ammirano i crateri più alti, poi incomincia la discesa. Dopo una sosta a Randazzo, dove non può mancare la visita alla Cattedrale di Santa Maria, si riprende la corsa verso il mare attraverso la valle dell’Alcantara. Questo tratto è quasi tutto in salita e segue il percorso del fiume Alcantara, passando per Gaggi, Graniti e in prossimità delle famose Gole dell’Alcantara. Niente di più entusiasmante penetrare nei più disparati paesaggi che questa parte di terra siciliana dona al visitatore, percorrendoli su un treno inaugurato a fine Ottocento. Ne furono testimoni anche il grande scrittore Edmondo De Amicis e la regina Elena che, viaggiando con la Circumetnea, restarono a dir poco ammaliati dalle forti emozioni suscitate dal panorama, dalla natura selvaggia e dal vulcano sempre mutevole. Ora come allora.

La notte a Catania non è fatta per dormire
Di giorno ammalia con il chiassoso mercato del pesce, l’odore del mare, le forme barocche dei suoi palazzi. Di notte conquista senza via di scampo. Perché è una città universitaria in cui si ritrovano studenti provenienti dalla Sicilia e dalle altre regioni del sud Italia. E lo spirito che anima gli abitanti è incandescente come la lava dell’Etna.
A Catania la notte non è fatta per dormire. Le luci dei lampioni mutano il volto delle vie e delle solenni facciate. Accanto a locali contemporanei e musica dal vivo, troverete una tradizione locale che può lasciare perplessi o entusiasti. Alcuni negozi, tra cui le macellerie equine, all’esterno dell’esercizio piazzano dei grandi bracieri, dove vengono arrostiti vari tipi di carne: è il famoso arrusti e mangia. In un ideale itinerario che si sviluppa da piazza del Teatro Massimo Bellini, passando per via Etnea sino all’antica via del Plebiscito, la movida catanese è un incontro tra modernità e tradizione.
Il centro di Catania vanta luoghi che di notte si trasformano in veri e propri raduni per i giovani: è il caso di Piazza Teatro Massimo che nei giorni di mercoledì, venerdì e sabato si popola di un’umanità brulicante e al contempo rilassata, che si dipana nei diversi locali, american bar e pub dove chiacchierare con un buon cocktail. Uno dei ritrovi più apprezzati è la Scalinata Alessi che unisce via Manzoni e via Crociferi, popolata da una fitta comunità gay, oltre ad abituali frequentatori notturni e studenti.
Qui è d’obbligo fare tappa al pub-trattoria e istituzione cittadina. Fondato nel 1986 1986 è stato il primo pub a dare una sferzata al centro città, quando ancora non esistevano locali dove ascoltare musica, incontrarsi per discutere e confrontarsi. Oggi forse non ci si confronta più come un tempo, ma almeno si fa e si ascolta bella musica.
Altri locali degni di attenzione sono in Piazza Spirito Santo, sapore irlandese, tavoli all’aperto, musica live ogni sera. E poi il club dove ogni giovedì vi aspetta un jam session. Per i wine bar battuti dalla Catania bene, ci si sposta verso il mare nella più esclusiva zona di Corso Italia, nel segmento tra Piazza Europa fino all’incrocio con Via Monfalcone. Oramai di pub e locali ce ne sono più di un centinaio, le mode e gli eventi a volte ne decretano o meno il successo.
Tradizione immutabile e abituale punto di ritrovo è il chiosco, tutt’altro che una moda passeggera. Dopo il cinema, o la cena, ma anche nel cuore della notte, limone spremuto al momento, seltz e sale: questa la ricetta della felicità contro l’arsura e il caldo. È veramente difficile non imbattersi in un chiosco, o ciosco nella bella parlata catanese, e delittuoso sarebbe non farne esperienza: oltre ai classici limone e tamarindo, tantissimi gli sciroppi alla frutta da scoprire, oltre a bevande spurie più moderne.
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Non azzardatevi però a chiedere una coca cola, sareste davvero fuori luogo. Più che la bevanda in sé, il chiosco è convivialità, cultura, storia, e se incappate in uno di quelli in piedi da un pezzo, tipo Giammona, in piazza Umberto verso via Etnea, Costa e Vezzosi sarà facile subire il fascino di racconti che solo i Catanesi custodiscono.
Se cercate, invece, qualcosa di particolare e un po’ chic, eccovi accontentati: la testimonianza dell’epoca bizantina, ospita un locale in cui vengono organizzate varie manifestazioni culturali, feste e concerti. Lasciatevi catturare dall’happy hour tra le note lounge che avvolgono le maestose volte, poi tornate nella mischia per strada a proseguire la serata come più vi piace.
Uno sguardo al quindicinale gratuito, basterà per darvi le dritte giuste di ogni serata, segnalandovi eventi, mostre, spettacoli e l’aggiornato cartellone teatrale. A tale proposito la scelta è molto ampia con i numerosi teatri sparsi per la città (più di venti). Oltre al Teatro Massimo Bellini per la stagione operistica e al Teatro Verga per la stagione di prosa, ricordiamo la Sala Harpago dove la compagnia del gattoparfo blu gruppo strepitoso, allieta sia in veste di attori che di autori con del buon cabaret.
Per chi invece sceglie la danza come cibo per occhi e anima è tassativo ritagliarsi una serata allo questo ex deposito di frutta, dal 2002 si è trasformato nella residenza artistica della compagnia Zappalà e in un polo culturale incentrato sulla danza contemporanea. Nel foyer ci si intrattiene per assaporare questo luogo di incontro culturale cosmopolita, mentre si appaga l’appetito con qualche proposta gastronomica.
Come vedete la notte catanese coinvolge a tal punto da rendere fisiologico lo stare fuori fino all’alba, tra suggestioni arabeggianti o high-tech, sia che scegliate di passeggiare tra le numerose piazze e le vie perpendicolari sia che vi decidiate per un concerto o per balli senza sosta in discoteca. Ecco dunque un altro indirizzo da non perdere: il storico locale in Contrada Jungetto nella campagna catanese, dove si tengono concerti e si balla tra le mura di un vecchio palmento ristrutturato.
Qualunque sia la vostra scelta per la nottata, l’epilogo sarà uno e uno soltanto: il rituale della colazione all’alba. Che si tratti del cornetto caldo o della granita , o di un goloso arancino aperto 24 ore su 24, non potete sbagliarvi: tra le 4 e le 6 del mattino la lunga notte catanese termina qui.
'Cchianari i scaluna cû pedi mancu 'u jornu 'i capurannu è bon auguriu.
(Salire gli scalini col piede sinistro il giorno di capodanno è buon augurio.)
Si unu si 'nsonna chi mori o chi è mortu, cci 'llònganu i jorna.
(Se qualcuno sogna che qualcuno sta morendo o è morto, gli allunga i giorni di vita.)
S'havi 'a scacciari 'a scoccia dill'ovu dopu sucatu, sennò...non si nn'havi sustanza.
(Si deve frantumare il guscio dell'uovo dopo averlo sorbito, altrimenti...non se ne trae sostanza.)
Non pusati sordi supra dû lettu: porta mali, giùvanu pi malati.
(Non posate soldi sul letto: porta male, gioveranno per le malattie.)
E' mal'auguriu mittìrisi i mani 'ntricciati arredi 'a testa.
(E' cattivo augurio mettersi le mani intrecciate dietro il capo.)
Quannu cadi carchi cosa dî mani, s'aspéttanu vìsiti.
(Quando cade qualcosa dalle mani, si aspettano visite.)
Porta mali canciari 'u lettu matrimoniali vecchiu cu unu novu.
(Porta male cambiare il letto matrimoniale vecchio con uno nuovo.)
E' mal'auguriu maritàrisi a màju o ad aùstu.
(E' di cattivo augurio sposarsi a maggio o in agosto.)
Si ti mància 'a manu dritta, dinari tràsunu, o... bastunati 'a dari; si ti mancia chidda manca, dinari nésciunu, e... bastunati 'a ricìviri.
(Se ti prude la mano destra, denari entrano, e... bastonate da dare; se ti prude quella sinistra, denari escono, e... bastonate da ricevere.)
Porta mali pusari 'u cappeddu o méttiri 'u metru, l'umbrellu o 'a scupa supra 'u lettu.
(Porta male posare il cappello o mettere il metro, l'ombrello o la scopa sul letto.)
Quannu runza 'na musca 'rossa o trasi dintra 'na farfalledda, c'è littra 'ncaminu o s'aspetta visita.
(Quando ronza una mosca grossa o entra in casa una farfallina, c'è lettera in cammino o si aspetta visita.)
A tàvula s'havi 'a manciari sinu all'ultimu tozzu dû so' pani: cu' 'u lassa, lassa l'anni so'.
(A tavola bisogna mangiare sino all'ultimo boccone del proprio pane: chi lo lascia, perde i suoi anni.)
Cu' a tàvula si 'ssetta di spicu, non si marita.
(Chi a tavola si siede di spigolo, non si sposa.)
'U lettu non si consa mai in tri: 'a pirsuna cchiù nica mori.
(Il letto non si apparecchia mai in tre persone: la più piccola morirà.)
LINGUAGGIO TIPICO CATANESE
Se = Sì
No, Nonzi = No
Chi voi? = Cosa vuoi?
Assabinidica, Assabbinirica, Sabbinirica, Salutamu! = Ciao!, Salve!
Ni videmu! = Ci vediamo!
Salutamu! = Arrivederci!
A biatu! = A presto!
Grazzî assai! = Tante grazie!
Bon jornu = Buongiorno!
Bona sira = Buonasera!
Bona nutti = Buonanotte!
Pì faùri = Per favore!
Pì piacìri = Per piacere!
Mi scusassi = Mi scusi
Amunì! = Andiamo!, Forza!, Dai!
Amuninni = Andiamocene
Accura! = Attenzione!
Addunati! = Accertati!
Sapìddu... = Chissà...
M'hà a scusari = Mi deve/devi scusare
Vulissi nu cafè = Vorrei un caffè
Vulissi nu cannolu câ ricotta = Vorrei un cannolo con la ricotta
Li bagni unni sunnu? = Dove sono i bagni?
Di unni s'havi a pigghiari pì jiri â stazzioni? = Per dove si deve prendere per arrivare alla stazione?
La frimmata di l'autubussu unn'è? = Dov'è la fermata degli autobus?
Risturanti ccà a firriari n tunnu cci nn'è? = Ci sono ristoranti qui intorno?
Cci sunnu risturanti ccà? = Ci sono ristoranti qui?
Lu malu tempu e lu bonu tempu nun dùranu tuttu lu tempu = Il cattivo ed il buon tempo non durano tutto il tempo
Cu di sceccu ni fa un mulu, lu primu cauciu jè dô sò! = Chi da asino si comporta come un mulo (quale bestia da soma), il primo calcio (o scorrettezza) è il suo!
Scusassi, pô Cursu Sicilia d'unni jè ca aju a pigghiari? = Scusi, per Corso Sicilia che direzione devo prendere?
P'attruvari nu vucceri/chiancheri c'havi carni di cavaddu unn'aju a jiri? = Dove devo andare per trovare un macellaio che abbia carne di cavallo?
Cumminasti na chianca! = Hai fatto un macello!
Mali nun fari, scantu nun aviri! = Male non fare, paura non avere!
Unni l'attrovu na putìa? = Dove la trovo una bottega?
Si na camurrìa! = Sei uno scocciatore!
Arrassati! = Allontanati!
Annachiti! Sbrigati!
Au, ri unni cali, da chiana? = da dove vieni, dalla piana (di Catania)? quando per esempio sei vestito male o hai modi di fare bizzarri e non comuni...
Non mi resi addenza! = non mi ha dato udienza. Non mi ha ascoltato.
Non mi resi saziu!= Non vuole proprio darmela vinta!
“Ddocu ci voli!” =utilizzato in senso di approvazione con un significato piuttosto simile al “Dici bene!”.
U fici di scapocchiu= lo ha fatto di nascosto
Sunu diciannovi soddi cu nà lira =Sono la stessa cosa (letteralmente “diciannove soldi con una lira", indicano due cose simili o che hanno più o meno lo stesso valore)
Di pizzu o di chiattu fai sempri di testa to! = In un modo o nell'altro fai sempre di testa tua!
Spuntau a motti subitania! = E' arrivato all'improvviso!
Abbisati semu! =Siamo a posto!
CITTADINI! SEMU TUTTI DEVOTI TUTTI!!
(Cittadini! Siamo tutti devoti tutti! Tipica espressione che si usa durante la festa di Sant'Agata).
MBARE (o MBARI)
(Tipica espressione catanese che sta a signifiare amico, compagno).
OGNI LASSATA È PIDDUTA
(Ogni lasciata è persa. Infatti le occasioni bisogna saperle cogliere al volo, quando si presentano. Ciò che si rifiuta oggi, forse non sarà più possibile averlo domani).
ATTÀCCHITI I LANNI o ARICOGGHÌTI I PUPI
(Váttene)
AVIRI U CULU CHINU
(Possedere molto e non saperlo apprezzare ed utilizzare).
MUZZICARISI A LINGUA
(Mordersi la lingua o struggersi l'anima per aver rinunciato ad intraprendere un'azione che avrebbe potuto avere successo. Equivale anche, a pentirsi per aver detto qualcosa che sarebbe stato meglio non dire)
UNNI MI CHIOVI, MI SCIDDICA
(Dove mi succedono sfortune, mi scivola).
CHISTA JÈ A ZITA E CU A VOLI S'A MARITA.
(Questa è la fidanzata e chi la vuole se la sposa. La situazione purtroppo è questa e dobbiamo fare buon viso a cattivo gioco).



Castello Ursino
Il castello Ursino di Catania fu costruito da Federico II di Svevia nel XIII secolo. Il maniero ebbe una certa visibilità nel corso dei Vespri siciliani, come sede del parlamento e, in seguito, residenza dei sovrani aragonesi fra cui Federico III. Oggi è sede del Museo civico della città etnea, formato principalmente dalle raccolte Biscari e dei Benedettini.
Storia
Il castello Ursino fu voluto da Federico II di Svevia e fu costruito fra il 1239 ed il 1250[1]. L'imperatore aveva pensato il maniero all'interno di un più complesso sistema difensivo costiero della Sicilia orientale (fra gli altri anche il castello Maniace di Siracusa e quello di Augustasono riconducibili allo stesso progetto) e come simbolo dell'autorità e del potere imperiale svevo in una città spesso ostile e ribelle a Federico. Il progetto e la direzione dei lavori furono affidati all'architetto militare Riccardo da Lentini. Nei primi anni del XV secolo l'edificio è circondato dalla città e diverse casupole vi si addossano. Re Martino I di Sicilia nel 1405 sgomberò lo spazio intorno al maniero, per ricavare una piazza d'arme, demolendo tra gli altri il convento di San Domenico, lì ubicato dal 1313[2]. Fu probabilmente dotato anche di un ponte levatoio[3]. Secondo il Correnti sarebbe stato costruito sulla riva del mare per volontà di Federico II e il nome "Ursino" dato al castello deriverebbe da Castrum Sinus ovvero il "castello del golfo"[4][5][6].
I Vespri siciliani
L'eruzione del 1669 in uno storico affresco di Giacinto Platania: sulla sinistra, il castello Ursino circondato dalla lava
All'interno del castello si vissero alcuni dei momenti più importanti della guerra del Vespro. Nel 1295 vi si riunì il Parlamento Siciliano, che dichiarò decaduto Giacomo II ed elesse Federico III a re di Sicilia. Nel corso del 1296 il castello fu preso da Roberto d'Angiò e successivamente espugnato nuovamente dagli aragonesi. Re Federico abitò a partire dal 1296 il maniero, facendone la corte aragonese e così fecero anche i successori Pietro, di Ludovico, Federico IV e Maria. Inoltre la sala dei Parlamenti fu nel 1337 anche la camera ardente per la salma di re Federico III. Nel 1347all'interno del castello venne firmata la cosiddetta Pace di Catania fra Giovanni di Randazzo e Giovanna d'Angiò.
Il castello sede reale
Il castello Ursino fu dimora reale dei sovrani del casato Aragona di Sicilia (ramo parallelo siciliano del casato di Barcellona) e ospitò tutti i re da Federico III e tutti i suoi discendenti fino al 1415 ospitò la regina Bianca d'Evreux di origine normanna ma ereditaria del regno di Navarra sposa di Martino I di Sicilia (deceduto nel 1409).
Finiti i Vespri, il castello, dimora di Maria di Sicilia, fu teatro del rapimento della regina da parte di Guglielmo Raimondo Moncada nella notte del 23 gennaio 1392, per evitare il matrimonio con Gian Galeazzo Visconti. Con l'avvento di Martino I di Sicilia il castello divenne nuovamente corte del regno.
Alfonso il Magnanimo riunì il 25 maggio del 1416, nella sala dei Parlamenti del castello i baroni e i prelati dell'isola per il giuramento di fedeltà al Sovrano e fino al 30 agosto vi si svolsero gli ultimi atti della vita politica che videro Catania come città capitale del regno. Nel 1434 lo stesso re Alfonso firmò nel castello l'atto con cui concedeva la fondazione dell'Università degli Studi di Catania.
Nel 1460 si riunirà nel castello Ursino il primo Parlamento del periodo aragonese-castigliano presieduto dal viceré Giovanni Lopes Ximenes de Urrea. Inoltre al suo interno morì nel 1494 don Ferdinando de Acuña viceré di Sicilia. Verrà sepolto in Cattedrale, nella cappella di Sant'Agata.
Nel XVI secolo venne costruito un bastione detto di San Giorgio a difesa del castello ed eseguite alcune modifiche in stile rinascimentale.
La decadenza
Dal XVI secolo, con l'introduzione della polvere da sparo, il castello vide sempre più indebolito il suo ruolo militare, diventando temporaneamente dimora di viceré, e più costantemente del castellano, mentre una parte di esso fu adibito a prigione.
L'11 marzo 1669 da una frattura sopra Nicolosi cominciò la più imponente eruzione dell'Etna di epoca storica, che dopo aver distrutto orti e casali, giunse alle mura della città, che riuscì a superare da Nord-Ovest, nella zona del Monastero di San Nicolò l'Arena, per poi dirigersi verso il Bastione di San Giorgio. Il 16 aprile la lava arrivò attorno al castello e pur non intaccandone le strutture colmò il fossato, coprì i bastioni e spostò per alcune centinaia di metri anche la linea di costa. Qualche tempo dopo anche il terremoto del 1693 provocò una serie di danni alle strutture, compromettendo definitivamente il ruolo militare del castello.
Ristrutturato, continuò ad ospitare le guarnigioni militari prima piemontesi (1714) e quindi borboniche, assumendo anche il nome di Forte Ferdinandeo. Rimase tuttavia prigione fino al 1838, quando il governo borbonico riconoscendone il ruolo come fortilizio, vi apportò restauri e vi aggiunse nuove fabbriche che finirono con l'occultare sempre più l'originaria struttura sveva.
In tale stato il maniero rimase fino agli anni 30 del Novecento, quando fu oggetto di un radicale restauro, in vista della sua trasformazione in Museo.
Oggi
Lo stesso argomento in dettaglio: Museo civico al Castello Ursino.
Acquisito nel 1932 dal comune e sottoposto a restauri, oggi il castello si trova in pieno centro storico e, dal 20 ottobre 1934, è adibito a museo civico di Catania. Nel mese di novembre del 2009 sono stati ultimati i lavori di restauro.
Architettura
Pianta del primo piano del castello Ursino.
Castello Ursino: particolare della stella a cinque punte
La costruzione, è a pianta quadrata, ogni lato misura circa 50 metri. I quattro angoli sono dotati di torrioni circolari con diametro poco superiore ai 10 metri e altezza massima di 30, mentre le due torri mediane sopravvissute (in origine erano quattro) hanno un diametro di circa 7 metri. Le mura sono realizzate in opus incertum di pietrame lavico e presentano uno spessore di 2.50 metri. Originariamente il castello presentava alle basi delle scarpate che lo slanciavano dandogli un aspetto decisamente imponente. Esse sono visibili nel fossato del lato sud del castello grazie agli ultimi scavi effettuati.
Il lato settentrionale è quello principale ed è ben conservato con quattro finestre anche se originariamente non presentava aperture per renderlo meno vulnerabile agli attacchi nemici, qui l'entrata del castello era difesa da un ponte levatoio e da mura difensive i cui resti sono ancora visibili nel fossato di fronte all'entrata. Una base a scarpa rafforza la struttura del castello.
Il lato sud è molto cambiato nel tempo, data la scomparsa della torre mediana e delle numerose finestre aperte nel tempo. Qui troviamo una porta secondaria detta "porta falsa" che, per mezzo di uno scivolo (che probabilmente era in legno e pietra), conduceva all'imbarcadero a mare ricavato oltre il bastione[7]; il lato sud del castello infatti fino alla metà del XVI secolo era direttamente prospiciente la spiaggia e le acque del mar Jonio. Poi la realizzazione del bastione di San Giorgio e della piattaforma di Santa Croce lo allontanarono dal mare, ma lo resero efficiente per l'uso dei cannoni. Il definitivo allontanamento dal mare e l'innalzamento del livello del terreno circostante al castello fu dovuto alla colata lavica del 1669 che lo cinse quasi totalmente e sommerse i bastioni. Il lato est non presenta la semi torre ma vi si trova una meravigliosa finestra di età rinascimentale con un pentalfa in pietra nera lavica. I moderni lavori di restauro hanno portato alla luce fino ad ora parte dei bastioni cinquecenteschi, una garitta perfettamente conservata e gli originari basamenti a scarpa che oggi restituiscono l'originaria maestosità alle torri angolari del castello. Il progetto originale probabilmente non prevedeva una merlatura, rara nei castelli federiciani. Ma successive modifiche e ricostruzioni della parte sommitale di alcune torri, hanno probabilmente previsto l'inserimento di merlature.
L'ingresso, semplice, si trova nel prospetto nord ed ha sopra in una nicchia una scultura raffigurante un'aquila sveva che afferra una lepre simbolo del potere del sovrano Federico II sulla città etnea, erroneamente scambiata talora per agnello[8]. Al suo interno si sviluppava la corte e vi rimane un bel cortile con scala esterna in stile gotico-catalano costruita in età rinascimentale, intorno all'atrio c'era una fuga di crociere quadrate che furono definite "campate di un maestoso tempio gotico".[9]
Attorno al cortile interno c'erano le quattro grandi sale fiancheggiate da sale minori, dalle quali si accede alle torri angolari. Ogni grande sala è divisa da tre campate, coperte da volte a crociera costolonate che si dipartono da semicolonne con capitelli ornati a foglie.
Dal piano inferiore al piano superiore si accedeva attraverso le scale a chiocciola posizionate all'interno delle semi torri nord e sud. Funzionalmente combinò sia la funzione di reggia (palatium) che quella di maniero (castrum).
L'aspetto complessivo del castello nel suo ambiente circostante è notevolmente cambiato nel tempo, era prossimo al mare nei lati sud ed est, probabilmente in una vasta area aperta ridottasi ad uso agricolo dopo il progressivo abbandono dei quartieri meridionali nel corso della tarda antichità. In seguito, forse lungo il corso del XIV secolo durante l'espansione della Giudecca di Catania, la campagna su cui sorgeva venne occupata da fabbricati e conventi, tra cui quello di San Domenico, eretto nel 1313[2]. Dal 1405 la città che ormai lo soffocava venne sventrata e intorno all'edificio fu ricavata un'ampia piazza d'arme. In seguito la struttura fu circondata da bastioni e dotata di un fossato e venne reso imponente dalle scarpate. Dopo la colata lavica del 1669 e il terremoto del 1693, il castello vide allontanare la linea di costa di centinaia di metri e rialzarsi il livello del terreno di una decina di metri così che la sua imponenza e la sua magnificenza venne occultata per sempre.[10]
Dopo la colata lavica del 1669 e il terremoto del 1693, il castello vide allontanare la linea di costa di centinaia di metri e rialzarsi il livello del terreno di una decina di metri così che la sua imponenza e la sua magnificenza venne occultata per sempre.[11]
I graffiti dei carcerati
Il lungo periodo durante il quale il castello fu adibito a carcere comportò notevoli modifiche strutturali, poiché il maniero federiciano, nonostante la sua ampiezza, non aveva un numero sufficiente di locali che si prestassero ad essere usati come prigione. Così le grandi sale del piano terra furono suddivise da nuovi muri e solai, che crearono ambienti minori in cui i prigionieri stavano come l'anime dannate[12] nei cosiddetti dammusi, cioè piccole celle, oscure e infestate da topi, scorpioni e tarantole.
Una traccia di questa pagina della storia del castello si trova nelle centinaia di graffiti che riempiono i muri e gli stipiti di porte e finestre di tutti gli ambienti del piano terra (ad eccezione di quelli sul lato nord) e anche il cortile interno.
Disegni: si tratta di stemmi, ma anche di teste e volti generalmente disegnati di prospetto, talvolta con intento caricaturale. Fra le rappresentazioni figurate, quelle di maggiore interesse si trovano nel cortile. Si tratta di una torre merlata e di quattro imbarcazioni a tre alberi, tipi di galeoni in voga fra cinque e settecento, descritti con grande precisione. Molto frequenti anche i simboli di carattere religioso, in particolare la Croce e gli strumenti della Passione, nella cui rappresentazione il carcerato ravvicinava la propria sofferenza a quella di Cristo. L'esempio più interessante si trova nel cortile, una grande croce con Nodi di Salomone ai vertici, con la scala, la spugna, le tenaglie e il martello.
Iscrizioni: spesso si tratta solo di un nome, una data (la più antica riporta il 1526) e la frase Vinni carceratu. Ma il repertorio è vastissimo e comprende riferimenti alla colpa attribuita al prigioniero, rispetto alla quale egli si dichiara innocente, vittima di complotti o tradimenti, e poi sentenze o riflessioni dettate dalla durezza della vita in carcere. Fra queste un tale Don Rocco Gangemi, che scrive: Miseru cui troppu ama e troppu cridi. Particolarmente interessanti, sul portale del lato sud del cortile, due lunghe frasi che mostrano dei precisi e puntuali riferimenti con la contemporanea produzione dei poeti Antonio Veneziano e Antonio Maura, ed una lapidaria incisione sul senso della vita: Mundus rota est. La lingua di queste iscrizioni è per lo più il siciliano, ma con uso anche del latino, dello spagnolo e di un misto di siciliano e latino.

Piazza Dante
Catania (CT) La grande chiesa di San Nicola, che si ispira ai modelli architettonici romani, fu iniziata nel 1687 su disegno di G.B. Contini. Dopo il terremoto del 1693 i lavori furono portati avanti da diversi architetti, tra cui Francesco Battaglia e Stefano Ittar; quest’ultimo realizzò la cupola alta 62 metri: il prospetto, come si può vedere dalle coppie di colonne non finite, rimase incompiuto 1796); tra le cause principali dell’interruzione dei lavori vi furono le difficoltà di ordine tecnico e gravi problemi economici. L’interno della chiesa è a tre navate e raggiunge una lunghezza di 105 metri; ciò che colpisce è la grandiosità delle partizioni architettoniche e la chiara luce diffusa che penetra dagli alti finestroni. Nella navata destra e sinistra si aprono le cappelle semicircolari precedute da eleganti balaustrate. A destra: cappella di S. Gregorio papa con una tela del Camuccini; cappella di S. Giovanni Battista con una tela del romano Tofanelli; cappella di S. Giuseppe con una tela del messinese Mariano Rossi. A sinistra: cappella di S. Andrea con tela di F. Boudard; cappella di S. Euplio con tela del Nocchi e cappella di S. Agata con grande tela di M. Rossi. Alle estremità del braccio orizzontale della croce latina sono due cappelle: a destra è quella dedicata a S. Nicolò di Bari e, a sinistra, quella di S. Benedetto. Al centro dell’area presbiteriale spicca il grande altare maggiore realizzato con materiali preziosi, tutt’intorno si dispongono gli stalli del coro ligneo scolpiti dal palermitano Nicolò Bagnasco. Ma l’opera che aveva, nel passato, dato più lustro alla chiesa era il celeberrimo organo di Donato del Piano. In una guida di Catania del 1899 leggiamo: Basta questa sola meravigliosa macchina per la celebrità del monastero dei Benedettini di Catania. Fu opera dell’abate Donato del Piano e vi sono esattamente imitati tutti gli strumenti a corda ed a fiato: ha 72 registri, cinque ordini di tastiere, 2.916 canne. Si ode dall’ottavino al serpentone, dal violino al contrabbasso, dal tamburo rollante e battente alla pastorale zampogna. Non vi è cosa più solenne, più profonda, più maestosa dei ripieni che la orchestra più perfetta non potrebbe produrre". Anche lo scrittore Wolfgang Goethe, in visita a Catania (1787), andò a vedere questa meraviglia: "Ci recammo nell’immensa chiesa - scrive - e il frate maneggiò magnifico strumento, facendo sospirare del fiato più leggero gli angoli più reconditi o facendoli rintronare dei tuoni più potenti". Oggi questo capolavoro non esiste più perché tutte le sue parti sono state barbaramente saccheggiate. Degna di una particolare attenzione è anche la grande meridiana lunga 39 metri. Fu realizzata, nel 1841, dagli astronomi Wolfrang Sartorius barone di Waltershausen di Gottinga e dal prof. Cristiano Peters di Flensburgo. Lo spettro solare vi passa con un diametro maggiore in inverno di 938 millimetri e minore in estate di 28 millimetri, senza la penombra. L’altezza dello gnomone sopra la linea della meridiana è di metri 23 e 895 millimetri. Nei fianchi delle lastre di marmo con figure delle Zodiaco si possono leggere varie informazioni relative alla meridiana
CATANIA
“La Civita, il quartiere più antico della città, rinasce grazie a un corposo progetto promosso dall’amministrazione comunale insieme a una cordata di partner privati. Tra le numerose iniziative in cantiere, la valorizzazione degli spazi pubblici esistenti, la creazione di nuove infrastrutture per l’intrattenimento, la chiusura al traffico, gli incentivi ai proprietari per il restauro degli immobili, la promozione dell’ospitalità anche attraverso l’Albergo diffuso e naturalmente un ricco cartellone di iniziative culturali con proposte tutto l’anno. L’obiettivo è far decollare il cuore del centro storico facendolo diventare la delizia dei catanesi e il crocevia dei turisti”.
Purtroppo ancora questa notizia non esiste, ma noi vorremmo pubblicarla presto. Vorremmo poter dire che lo storico quartiere della Civita, il primo di Catania, incastonato un perfetto quadrilatero di vie, ricco di palazzi storici, con i suoi edifici religiosi, le stradine, le piazze, denso di testimonianze storiche, quel quartiere che ai primordi doveva essere una vera cittadella (da qui il nome), nonché probabilmente quartiere islamico, è al centro di un progetto di risanamento e di valorizzazione in cui si sono fuse le energie e il coordinamento del Comune con l’entusiasmo e il sostegno dei privati.
Per far questo, il Quotidiano di Sicilia lancia un appello alle forze attive presenti sul territorio catanese, perché insieme comincino a costruire questo progetto, che è un po’ un invito a riscoprire un piccolo scrigno di storia ed esportarne l’immagine in un contesto che non sia solo quello della cittadinanza catanese, ma che vada a toccare l’interesse e la curiosità dei tanti turisti amanti dei borghi. Ecco: il Borgo della Civita diventi un Borgo da vivere. Con interventi pubblici di riqualificazione volti all’accoglienza e un percorso culturale che duri un anno intero, perché l’intrattenimento non dipenda dalle stagioni ma rappresenti un richiamo costante.
L’antico borgo non può continuare a smarrire il legame con le proprie radici storiche e culturali. Quindi le iniziative dovrebbero essere proprio mirate a far riscoprire il gusto di vivere un posto che è anche un po’ magico e un po’ misterioso. Far conoscere la storia del quartiere che sprigiona emozioni, tradizioni e sapori rendendolo vivo ed accogliente, pur conservandone intatta l’antica bellezza.
Immaginiamo mostre espositive di quadri, ceramiche, sculture, artigianato locale, caffè concerto, degustazioni di gastronomia tipica locale, rievocazioni storiche con personaggi in abiti d’epoca: solo alcuni esempi, ai quali se ne potrebbero aggiungere tanti altri, secondo una concertazione che non deve trascurare l’apporto di associazioni culturali, municipalità, comitati di residenti, sindacati, ambientalisti, tecnici e finanziatori privati. Si, valenti supporter privati, che mettano a disposizione la loro immagine e le proprie risorse per impreziosire il quartiere. E giusto per essere concreti, abbiamo già registrato la disponibilità di una Fondazione siciliana che ha dichiarato di voler aderire al progetto.
